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scheda

L'Elisir Renovatio & Promulgatio vitae

Tutti i liquori spiritosi in cui si ponevano i semplici in infusione erano chiamati Elisir o Elixir. Il termine sembra abbia origine o da helco tirare o estrarre (i principi solubili delle droghe si estraevano con solvente) o da elaion, olio, e syro, tirare; ovvero un estratto costituente la parte essenziale. Un'altra provenienza prevede l'origine da elexeo difendere, aiutare, in merito al sollievo che tali preparati donavano. L'alcool, combinandosi con le sostanze da estrarre, formava degli alcooliti o degli alcoolati secondo che l'elisir fosse prodotto solo per infusione o purificato per distillazione. Il recupero di tutta l'ampiezza del significato del termine avvenne molto lentamente e solo agli inizi del XIV secolo, in alcuni testi (in special modo quelli attribuiti a Raimondo Lullo e ad Arnaldo da Villanova), l'elixir fu inteso come l'agente per il raggiungimento della perfezione materiale sia dei metalli sia del corpo umano, in quanto elemento capace di riequilibrare la complessione di qualsiasi corpo con cui era posto a contatto. Fra le sostanze impiegate per ottenere l'elixir figuravano, oltre ai metalli e ai minerali, materiali di origine organica, che già  nel De anima in arte alchemiae dello Pseudo-Avicenna entravano nella composizione col nome di 'pietra animale' o 'pietra vegetale', assieme alla più ovvia 'pietra minerale'. Il Testamento di Morieno, del resto, diceva chiaramente che il lapis (altro termine con cui l'agente della trasmutazione era definito nei testi) non era una pietra in senso letterale. Inoltre, l'oro stesso, utilizzato nella composizione dell'elixir, come seme della perfezione, doveva essere ottenuto in maniera intenzionale e in quantità  illimitata. Per tali ragioni l'idea d'elixir coincise con quella del farmaco perfetto e la possibilità  di ottenerlo si basò sullo sviluppo della tecnica di distillazione che si riteneva fosse più efficace nell'isolamento degli elementi costituenti la materia prima. La preparazione imponeva un lungo lavoro con il solvente più adatto a quanto si voleva ottenere. Il solvente, chiamato dagli alchimisti, spagiristi e speziali, mestruo , era, generalmente, spirito di vino o acqua ardente in cui si ponevano i semplici a macerare fino alla completa separazione dei loro oli aromatici ed essenziali. Per mantenere la completa naturalezza dell'estratto il preparato era, successivamente, filtrato per panno, liberandolo da tutte le parti fecciose esauste, o distillato ottenendo un liquore più raffinato e puro. Ambedue i preparati potevano essere giuleppati, in altre parole, edulcorati con zucchero ricavandone uno sciroppo denso e gradevole al palato. Gli elisir avevano indicazioni miracolose ed erano prescritti in tutti gli stati morbosi disperati soccorrendo specialmente alle sincopi di cuore. Le spezierie europee né erano fornitissime e ognuna aveva la propria ricetta contraddistinta da secreti mirabili. Alessandro Maderni, speziere di Milano in Porta Romana, durante la seconda metà  del 1600, descrisse, in una breve pubblicazione intitolata L'apparato dell'elixir di vita , il suo preparato affermando che la composizione non era mai stata menzionata, appositamente, nemmeno nella stesura dell'Antidotario Milanese pur avendo lui stesso avuto un ruolo primario nella scrittura dell'enciclopedica opera pretesa dal protofisico Gio. Honorato Castiglioni per lo Stato di Milano. Nella dedica all'illustrissimo Sig.Conte Bartolomeo Aresi, Presidente del Senato della città , il Maderni sostenne con vigorosa forza le peculiarità  del suo medicamento che, pur sapendolo ben fabbricare, aveva bisogno della protezione delle ali dell'Illustrissima persona del Sig. Conte dal momento che se da una parte le sue capacità  come speziere non fossero discutibili d'altra i velenosi morsi de critici invidiosi richiedevano un patrocinio. Gli ingredienti necessari per la composizione di un buon elisir erano sempre numerosi e, per aver che l'impresa, avvenisse in maniera eccellente occorreva rispettare le regole dell'Arte. Molti di questi precetti furono dettati dall'esperienza del preparatore e dalle leggende popolari. Se ne può avere un esempio in un'operetta di Falcone Nicolò, dedicata all'incredibile liquore che un medico alchimista caldeo gli aveva donato. L'autore descrisse, del miracoloso conservativo e restaurativo del calore naturale e dell'umido radicale nelle quali due cose principalmente risiedono la sanità , il vigore e la vita dei corpi umani, ogni proprietà  svelando in alcuni casi li secreti meravigliosi contenuti nella ricetta. Nell'opera l'autore non volle solo rendere pubblica la ricetta, ma descrisse, con meticolosa spiegazione, le procedure e le attrezzature impiegate per la produzione elencando una vera batteria di pentole di metallo ed invetriate, di mortai di granito e di legno, d'alambicchi e di legna da ardere, dell'acqua di rugiada impiegata per l'elisir che sarebbe dovuta essere raccolta, da una vergine non mestruata, durante il mese di maggio al sorgere del Sole. Ciò per avere il massimo dell'efficacia del medicamento nel ritradur la vecchiaia mantenendo la persona come nel più bel fiore della sua gioventù. Altre leggende raccomandavano di non dimenticarsi di aggiungere, alle miscele di rosmarino, salvia,borragine, ginepro, cedro, cannella, viole, luppolo, indivia, puleggio e malva, anche due denti di cinghiale, quattro lucertole spellate e pestate, un'oncia di perle e di corallo rosso ed infine lamine d'oro purissimo. L'elisir più noto rimane, in ogni modo, quello di Paracelso o Elisir Proprietatis. Paracelso asserì che il suo elisir fosse un ottimo e sicuro medicamento, con proprietà  vivificanti mantenendo e prolungando la salute e la vita fino agli ultimi termini possibili. Egli non svelò mai il metodo di preparazione pur mostrando che gli ingredienti erano aloe, zafferano e mirra. Nel tentativo di scoprire il segreto del rimedio paracelsiano molti specularono asserendo ogni volta di aver individuato i principi mancanti. Elmonzio sostenne che ciò che mancava fosse l'alkahest , Oswald Crollius l'olio di zolfo , Boerhaave il tartrato tartarizzato . La convinzione che il rimedio variasse le proprie qualità  e virtù, in relazione al mestruo adoperato, fu la disputa scientifica che occupò gli iatrochimici del tempo e alla fine l'Elixir Proprietatis entrò, per le sue doti, a far parte dei medicamenti della Farmacopea Edimburghese e di Londra pur apparendo con ricette leggermente differenti l'una dall'altra. Un ruolo importante nella fortuna dell'elisir fu ricoperto dagli alchimisti e dai loro scritti. Le loro parole lo esaltarono come l'unica e sola possibilità  per l'uomo di sopravvivere fino a mille anni. Esso fu per loro sinonimo di Quintessenza, d'Oro potabile, di Pietra Filosofale capace di trasformare i metalli imperfetti in oro. Fu il prodotto tanto bramato come si può leggere nel manoscritto del Codice Aldino 341, custodito nella Biblioteca dell'Università  di Pavia - elixir sic deffinetur: si è la sublimatione de metallici corpi che in se contien li suoi mercurij ch'ha proprietà  di trasmutare li corpi calcinati et cotti in vera medicina, cioè la pietra philosofica; et tutte le altre operationi fatte inanzi a questo sono chiamate da noi volgari et communi, ma da lui poscia in dietro sono dette philosofiche. o nel documento originale intitolato Progetto di Bruno Botalino Certosino per poter riuscire il grande Elixir de' filosofi, ossia la medicina Universale ed indi la trasmutazione dei metalli imperfetti. La tradizione pose quindi l'elisir come l'emblema dell'anima del mondo, il soffio divino innato in ogni essere vivente, l'acqua distillata in grado di rigenerare i corpi depurandoli dalle scorie spirituali, veri impedimenti al processo d'affinamento dello spirito umano nel tendere alla perfezione divina. Fu il Mercurio dei filosofi, l'Anima Mundi, nel cui splendore, era riposta l'immagine di Cristo Redentore, della pietra quadrangolare raffigurazione della perfezione e della raggiunta fine della Grande Opera. La letteratura alchemica, dal Medioevo ad oggi, non ha mai tralasciato di indicare nell'elisir la panacea per ogni male dell'anima e del corpo e molte sono stati gli scritti in cui si riportava, per i non addetti, le istruzioni per cominciare la Grande Opera e quando iniziarla. Così la comprensione delle parole dei filosofi fu tradotta nell'affaticamento degli spagiristi e degli speziali che si prodigarono in una ricerca spasmodica della formula migliore con le virtù medicinali più idonee alle aspettative umane. Le operazioni di preparazione furono, pertanto, condotte nel rigido rispetto delle regole, come per la raccolta della rugiada di maggio mediante teli stesi sopra i campi senza che toccassero terra al fine di evitare perdite dei contenuti vitali, dalla sua conservazione in vasi ermeticamente chiusi, dall'attenzione assoluta al rispetto delle congiunzioni astronomiche e astrologiche, considerando anche quelle del preparatore, per captare il maggiore influsso, dall'assiduità  nel seguire il lavoro curando il fuoco del forno per tutta la durata dell'operazione senza mai lasciare che il calore aumentasse o diminuisse rispetto all'ideale.

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